Greta Van Fleet – Safari Song
Giovane band rock statunitense, decisamente esplosiva, soprattutto grazie alla voce-rivelazione di Joshua Kiszka, ora 24enne, quindi aveva solo circa 20 anni al suo esordio, quando gli altri “pulcini” componenti della band – tra cui due suoi fratelli – erano ancora minorenni.
Una voce impressionante se messa in bocca ad un ragazzo che non appare come il bad guy capellone di turno, quanto, appunto, come un “pulcino”.
Inutile dirlo – lo hanno già detto tutti, – ciò che più impressiona accanto alla sua potenza vocale è stata ed è naturalmente la somiglianza pazzesca con la voce di Robert Plant da giovane, storico frontman dei Led Zeppelin.
Nel 2017 la band ha vinto il Best New Artist ai Loudwire Music Awards.
Nel febbraio 2019 il gruppo ha ricevuto il Grammy Award al miglior album rock per From the Fires e ha ottenuto tre candidature nelle categorie Miglior artista esordiente, Miglior interpretazione rock per Highway Tune e Miglior canzone rock per Black Smoke Rising.
In un bell’articolo di Giovanni Ansaldo (Internazionale), si approfondisce la chiave della nostalgia musicale odierna per il vero rock e l’aura retrò i tanta produzione. Ne cito solo un brano qui:
“La musica popolare da qualche anno è ostaggio della nostalgia. E perfino generi come il rock e il punk, nati come musica di protesta e di rottura, sono diventati confortanti oggetti da museo. Pensate che Reynolds esageri? Ascoltatevi i Greta Van Fleet.
La band del Michigan è la degenerazione dell’effetto nostalgia e del fenomeno delle cover band: non ha successo nonostante le sue canzoni siano uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin, ha successo perché le sue canzoni sono uguali identiche a quelle dei Led Zeppelin.”
Che fare, dunque, in attesa di qualcosa di nuovo, di una nuova rivoluzione musicale, di un ritmo che faccia breccia nella forma mentis del 2020? Beh, piuttosto che farci su critica e filosofia, io rispondo… ballare! Al solito volume di vostra preferenza (fissate i cristalli di casa…).
Dite quello che volete, ma una voce così proposta oggi colpisce. Ripeto, soprattutto se esce da un ragazzino, in un’epoca in cui siamo abituati a vedere arrivare a tali vette star con, almeno, qualche anno in più e un po’ più di peso e di “cattiveria” addosso.
Ma andiamo a SAFARI SONG, il pezzo con cui li abbiamo conosciuti in Italia.
Alla faccia della nostalgia del rock dei loro pezzo: il video di SAFARI SONG testimonia la nostalgia di qualcosa di molto più antico.
L’inizio mette in scena il gruppo di ragazzi della band intenti a praticare un rituale maschile. La voce fuori campo della TV che hanno davanti ci dice: “Vi sono molti fraintendimenti legati al voodoo, ma le persone che praticano il voodoo lo fanno in realtà per raggiungere un maggiore benessere.”
Poi, ha inizio “il sogno”. La nostalgia atavica maschile per i rituali di iniziazione che abbiamo perso, di cui parlo anche nel mio libro “Il maschile sacro” e di cui parla ampiamente lo psicologo Claudio Risé nei suoi libri sugli uomini e sull’energia maschile.
La nostalgia del rock punge, è dolorosa, ma mai quanto quella di rituali sociali fondamentali per la crescita e l’espansione dell’uomo, ora ridotti, come vedete anche nel video e in tanti film, a fenomeno estetico-artistico relegato al mondo del teatro, di una musica che è già passata anche lei e del cinema.
Vi lascio con queste suggestioni, augurandovi che l’ultima scintilla di vintage-rock planetaria possa aprire una breccia, far crollare il muro dei manierismi, risvegliare la natura sensoriale e corporea di noi tutti – corpo, cuore ed anima.
Io conto su ritmo e suono. È sempre la nostra origine e anche la nostra ultima speranza.
Buon ascolto.
Sonia Serravalli – La vostra scrittrice trasformista.
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